Il teorema di Margherita, della regista francese Anna Novion (2023), racconta il percorso umano di una giovane e talentuosa studentessa universitaria.
La trama del film
Margherita è una persona con un unico interesse: la matematica.
Sembra non avere altro in testa, a tal punto che, in un modo un po’ bizzarro, si aggira in ciabatte per il dipartimento della sua facoltà, come se quel luogo fosse tutto per lei, anche una casa.
Questo la rende, agli occhi dello spettatore, strana ed allo stesso tempo interessante; più la si segue nel suo andirivieni dentro e fuori le aule della facoltà, più si ha l’impressione che sia “bidimensionale”, ossia che in lei manchi qualcosa capace di darle profondità. Ed in effetti Margherita, geniale nell’affrontare gli enigmi della matematica, non sa come muoversi nelle relazioni umane, neanche in quella con se stessa.
C’è qualcosa di infantile nel modo che lei ha di avvicinarsi agli sconosciuti, come se si aspettasse che le persone, lei compresa, si comportino sempre in modo logico e lineare e pertanto prevedibile.
A trasformarla sarà un errore, che le impedirà di portare a termine la dimostrazione che le avrebbe permesso di laurearsi e dare inizio ad una promettente carriera. Quell’unico errore avrà per lei l’effetto di una bomba.
Incapace di gestire una frustrazione così forte ed inattesa, Margherita, fuggirà dall’ambiente universitario, accontentandosi di un lavoro da commessa.
L’incontro con una coetanea, impulsiva e disinibita, a sua volta in difficoltà con la gestione pratica della propria vita, ma molto a suo agio con il corpo, la spingerà a scoprire per la prima volta la propria sessualità, con i modi impacciati di una persona arrivata ad essere donna, schivando le sfide dell’adolescenza.
È qui che il film diventa coinvolgente, facendoci sentire identificati e partecipi della vicenda di Margherita, che finalmente dà spazio alla costruzione del proprio sé.
La costruzione del sé e della relazione con l’altro
In psicologia la costruzione del sé, intesa come la rappresentazione di ciò che si è, è il compito fondamentale dell’adolescenza: richiede di individuarsi, ossia scoprire la propria forma, distinguendola da quella della propria famiglia.
Accediamo alla conoscenza di chi siamo imparando cose nuove, grazie alle nostre capacità ed inclinazioni ed agli errori che ci obbligano a cambiare punto di vista, così come il confronto e l’apertura agli altri.
Forse è proprio per l’aver dovuto contare solo su di sé che Margherita, abbandonata in tenera età dal padre e datasi il compito di sostenere la madre, ha cercato nella matematica un modo per mettere ordine nel caos, come spiega ad un certo punto dicendo:
La matematica segna un confine tra ciò che si conosce e ciò che non si conosce… ricerca la verità
Questi accenni alla sua infanzia ci offrono spunti per immaginare perché Margherita abbia sacrificato la propria adolescenza all’unico obiettivo di eccellere come matematica, tagliando via da sé parti fondamentali della propria umanità: gli affetti, le relazioni, l’ascolto del corpo, l’incontro fiducioso con l’altro e la scoperta di una sessualità gioiosa.
L’incontro con Noà, la nuova coinquilina, la sorprende e la incuriosisce, mettendola a contatto con un modo diverso di vivere e di stare con gli altri. Ma sarà grazie all’incontro con Luca, un talentuoso compagno di corso, lo stesso che aveva messo in evidenza il suo errore durante la discussione della tesi, che Margherita affronterà le sfide più grandi e vere. Dovrà imparare a fidarsi perché il loro rapporto di collaborazione nel risolvere l’enigma matematico funzioni, e dovrà imparare a svelarsi e lasciarsi conoscere per accedere ad una relazione profonda e, infine, davvero appagante.
Margherita e la relazione con i genitori
Sullo sfondo di questa vicenda emerge il rapporto conflittuale con la madre, che Margherita ha bisogno di tenere distante da sé per trovare, con le proprie forze, il modo di uscire dal bozzolo. Quando finalmente accetta di rivederla, riesce a dirle quanto la sua affettuosa protezione non le serva più. Del padre non si sa niente, ma se ne vede il riflesso nel rapporto che Margherita ha con il professore con cui lavora alla tesi e dal quale insistentemente attende un aiuto, un riconoscimento, che arriverà solo alla fine.
L’enfasi e la preoccupazione con la quale gli adulti chiedono ai ragazzi di eccellere a scuola e nel lavoro, talvolta confondendo i propri desideri con i loro, rischiano spesso di essere di intralcio al processo di costruzione della loro identità, che non può avvenire in atmosfera eccessivamente protetta, senza esperienze, senza errori, senza dolore.
Questa storia ci mostra che gli errori ed il dolore, suscitato dalla frustrazione di non poter controllare lo svolgersi della propria vita, generano insegnamenti fondamentali. È nell’affrontare una caduta che ci si conosce davvero e si impara a tenere insieme parti di noi, a volte conflittuali e contraddittorie. Accettare ciò che si è permette di rinunciare al sogno di essere perfetti, pretesa che è spesso all’origine di tanti stati d’ansia e di depressione.
Mi pare che alla base di molti malesseri adolescenziali vi siano due ingredienti: la richiesta di eccellere e la mancanza di speranza.
In tempi cupi, caratterizzati da guerre, conflitti, difficoltà economiche, noi adulti rischiamo di proporre ai nostri figli un compito impossibile: eccellere come modo per sfuggire all’assenza di speranza che noi stessi trasmettiamo, come ha teorizzato Miguel Benasayag, filosofo e psicanalista, nel suo libro “L’epoca delle passioni tristi” (2004).
Perché guardare questo film?
Questa storia ci insegna che per costruire la propria identità bisogna invece conoscersi, sperimentarsi, prendere consapevolezza dei propri bisogni, delle proprie fragilità, delle proprie inclinazioni ed anche darsi il tempo di sognarsi in tanti modi possibili, senza pretendere di definirsi in modo univoco.
Definirsi troppo presto e puntare tutto sulla riuscita di un unico progetto è pericoloso e rischia di schiacciarci, come è successo alla protagonista di questo film.